Ah, la spontaneità di instagram.

Quante volte succede che stai camminando e improvvisamente ti stoppi come se avessi sbattuto il muso su una porta a vetri, sensazione conosciuta perché inutile negare, tutti abbiamo sbattuto contro una porta a vetri almeno una volta nella vita. Io una volta ho anche sbattuto contro un cestino dell’immondizia, l’ho ribaltato e mi ci sono ritrovata a cavalcioni, ma questa è un’altra storia.

Dicevo, ti stoppi perché hai visto qualcosa: una Celine classic box nera in vetrina, un dilf che gioca con un bimbo piccolo, una pavlova ai frutti di bosco del diametro di mezzo metro, il bosco sull’argine riflesso sul fiume. Chi se ne frega dei boschi. Qualche anno fa a nessuno importava dei boschi, adesso tutti amiamo i boschi.

I tuoi occhi sono già impostati sul formato quadrato, nella testa fai le prove su dove posizionare il pelo dell’acqua: al centro della foto per un effetto simmetrico tra la parte sopra e il riflesso, più in basso per mostrare il cielo, più in alto per mostrare il riflesso. E se capovolgessi il tutto? Il filtro l’hai già applicato a prima vista per accentuare il verde-blu dell’acqua, hai già aumentato la luminosità per rendere più evidente il riflesso e ridotto l’esposizione perché l’effetto accecante è un no.

Il tempo di mettere in atto quello che hai già immaginato e puoi caricare la foto, ma prima c’è da valutare il posizionamento nella gallery: qual è l’ultima foto che hai pubblicato? Quali foto ci staranno vicine? I soggetti sono simili? Si abbina cromaticamente? Il soggetto è coerente con quello che pubblichi di solito?

Alla fine, prima o poi, pubblichi la foto. Subito, nel giro di pochi secondi, oppure dopo giorni, settimane, mesi che se n’è stata lì salvata nell’app senza degnarla di attenzione. Pubblichi e devi trovare un titolo decente e non ti viene in mente niente: c’è quel tuo amico che mette sempre il titolo di una canzone ma se lo fai tu è una copia, la poesiola è roba da zoccole decerebrate, puoi fare un commento simpatico purché non sia troppo simpatico da risultare forzato, non mettere un titolo è fuori discussione perché la foto va completata, ecco, se sei fortunato trovi un emoji di quello che c’è nella foto e la cavi con poco.

È finita dici, ti puoi rilassare. Seh, COME NO, adesso arriva la fase peggiore, quella del giudizio. Se sei convinto di aver fatto una bella foto, stai sicuro che la gente ti ignorerà e ti ritroverai a trovare mille scuse tipo l’orario di pubblicazione sbagliato o la didascalia o cose a caso. Se la foto ti sembra bruttina e anzi, continui a riguardarla pensando che è brutta e che non sta bene tra le altre ed è meglio cancellarla, quella è la foto che ti farà fare il record di like, quella è la foto che otterrà più like del tuo selfie migliore e ti porterà alla depressione.

Quindi se qualcuno mi vuole bene e non vuole che mi deprima  il mio profilo Instagram

Non mi piaci Jovanotti, però

La foto della scuola non mi assomiglia più
Ma i miei difetti sono tutti intatti
E ogni cicatrice è un autografo di Dio
Nessuno potrà vivere la mia vita al posto mio
Per quanto mi identifichi nel battito di un altro
Sarà sempre attraverso questo cuore
E giorno dopo giorno passeranno le stagioni

Ma resterà qualcosa in questa strada

Jovanotti, Mezzogiorno


Alla conquista di Tinder

La prima volta che ho scaricato Tinder non avevo neanche capito cos’era, ma tutti ne parlavano. Allora scarico, guardo, capisco in un attimo: è come un catalogo di uomini, vedi un paio di foto e puoi fare sì o no. Ovviamente sono solo curiosa di vederli quindi faccio no no no no no.

Poi non l’ho più badata, l’ho lasciata lì e l’ho cancellata in uno dei vari raptus di pulizie di primavera del telefono.

L’ho scaricata di nuovo qualche giorno fa, ma l’ho fatto per bene: ho impostato il raggio di km e l’età, ho caricato le mie foto migliori (e le più false) e ho iniziato a sfogliare.

No no no no no no no no – mamma mia che cessi

No no no no no no – guarda questo deficiente che fa lo sguardo sexy alla macchina fotografica, ma cosa fai, non è mica la pubblicità di Calvin Klein

No no no no no no no no no no no no – minchia quello era carino ma non si può tornare indietro, magari era la mia anima gemella, vabbè amen ormai è andato

No no no no – “mi piace sculacciare e dominare” ma AHAHAHAHAHAHAHAHAH ma Jamie Dornan de noantri vaffanculo va
No no no no no – la foto degli addominali? Veramente? Dovrebbe farmi voglia?

No no no no no no – oh, carino lui, magari faccio sì? E se faccio sì e ha fatto sì anche lui? E se mi scrive? Ma gli devo rispondere? E poi che si fa? No

No no no no no no – ma perché tutte le foto sono quelle dei fotografi delle discoteche? Quanti anni hai 17?

No no no no no – ehi, guarda questo: ha delle foto normali, ha i capelli ricciolini, dai, faccio sì, ma solo come esperimento sociale sia chiaro

Sì – “L’interesse è reciproco! Tu e Cristian avete espresso interesse l’uno per l’altra.” Sìììì ha fatto sì anche lui! Aiutoooo ha fatto sì anche lui! E adesso? E se mi scrive? Speriamo non mi scriva. Speriamo mi scriva. No meglio di no, tanto non ho il coraggio di rispondere

No no no no no no no – vabbè quello di prima caso unico, ho capito

No no no no no – cheppalle, mi sto annoiando

No no no no no no – vestito e ventriquattr’ore, ma ‘ndo vai business man dei poveri, ma tiretea manco

No no no no – ehi anche questo è carino, ci riprovo dai

Sì – “L’interesse è reciproco! Tu e Nicola avete espresso interesse l’uno per l’altra.” Mado’ che figata, 2/2 Mic vai che sei forte
No no no no no...

“Simone ti ha scritto un messaggio” – Ma come Simone ha scritto, ma cosa scrivi Simone e poi qual era Simone, ma chi ti ha dato il permesso? “Ciao!” E adesso che faccio? Ok la soluzione la so, fingersi morta.

Perché Benefit mi sta antipatico

Tutte le ragazze che conosco, tranne l’amica Chiara che però non ci legge (ciao Chiara), tutte le ragazze che conosco amano Benefit.

Amano i prodotti che a quanto pare sono di grande qualità, ho letto grandissimi elogi al magnifico correttore, forse il migliore del mondo che però io dall’alto della mia quindicennale esperienza in tema di correttori non ho mai provato. Il mascara They’re real ha grandi fan, molte lo considerano meglio di Lancome (tzé) e non parliamo neanche dei vari prodotti per le sopracciglia: mini mascara, matite, kit completi di tutto sono famosissimi, così come i Brow bar in cui pare ci sia gente miracolata dal dono di dio in grado di cambiarti i connotati a suon di pinzette.

Ma queste ragazze, queste stesse ragazze, loro non amano solo i prodotti, loro amano Il Packaging. Benefit è il re del packaging nel mondo della cosmesi, con i suoi colori pastello, le immagini vintage, il font così sempre piacevolmente retrò, i nomi dei prodotti particolari e simpatici. È inutile dire che è la prima cosa che viene in mente, per quanto i prodotti possano essere buoni, ti viene in mente una signorina con i capelli cotonati seduta su una vespa con gli occhiali da sole a cat-eye e il rossetto rosso.

Ecco.

A me sta tutto immensamente e forse immeritatamente antipatico.

I prodotti sono sicuramente buoni, non li conosco e anche se li conoscessi non ne so abbastanza di trucchi per giudicare.

Ma è tutto così tanto basato sull'immagine, così troppo basato sull’immagine l'Immagine l'IMMAGINE che CHEPPALLE io butterei tutto in mare per vedere se diventa rosa anche lui.

L’altro giorno succede che da un giorno all’altro finisco la terra, che è una cosa strana: la terra è una delle cose che compri e non finisce mai, magari arrivi a consumare il centro e poi ti stufi o la lasci marcire in un cassetto e te la dimentichi o la rompi. Invece io l’ho finita (dopo anni e anni e anni) e mi reco fiduciosa da Sephora in cerca di una “terra senza brillantini” (me l’ha detto l’Aluzza di dire così e io l’ho fatto perché l'Aluzza ne sa). La commessa si avvicina allo sgabiotto della roba Benefit, io spero che a un tratto devi il tragitto andando verso qualcos’altro ma niente, va proprio là. Mi mette questa terra addosso ed è bella, colore giusto, mi sta bene. E adesso? L’ho guardata negli occhi e le ho detto “Sì, bella, mi piace, ce n’è una uguale di un’altra marca che Benefit non mi piace?”. La signorina ride e si mette a girare per gli stand guardando e cercando nella marea di terre brillantinate e l’esito è “Sì, ci sono, c’è Chanel e c’è Guerlain”. Prezzo: il doppio.

E l’ho comprata signori. Ho comprato una terra che la guardo ed è brutta. Prima cosa che ho fatto è stato mandare una foto all’Aluzza. Ma si può fare una terra con una scatolina di un bordeaux brutto? Con sopra disegnati dei rami di bambù? Con i rami di bambù anche sui lati?
Ma solo dopo ho notato la cosa peggiore: la confezione è di cartoncino. Come i trucchi che davano in regalo su Top Girl. Come quelli finti delle bambine. Come quelli che trovi nell’uovo di pasqua. Cioè, anche la collezione base di Kiko è più curata. Perfino la nuova appena comunicata di H&M ha un bel packaging.

33.50 € per una scatolina di cartone.


Lo tzusami delle pulizie

Hai presente quelle case nei film, sempre così fintamente disordinate. Con i cumuli di riviste usati come comodino, poltrone trasformate in armadi, tutta la dispensa in una mensola con la pasta messa nei barattoli e lo zucchero messo nei barattoli e i cereali messi nei barattoli. Che io mi faccio influenzare e l’altro giorno stavo per comprare un barattolo con davanti un’etichetta effetto lavagna con l’idea di metterci i cereali e lasciarli fuori invece che riporli nel mobiletto, poi sono rinsavita.

Non è mica così quando vivi da solo, quell’effetto disordinato ma non troppo, il disordinato bello da vedere non esiste.
Esiste invece il disordinato che a un certo punto non sai dove sono i calzini con i fiocchi di neve e li ritrovi seppelliti sotto un mucchio di altra roba, che devi preparare la cena ma non hai pentole pulite, che ti devi mettere il fondotinta e non hai spazio per appoggiare la boccetta.

Ebbene, succede. Succede anche se sei una persona tendenzialmente ordinata. Succede anche se sei una persona tendenzialmente ossessiva. Succede.

Succede che ti spogli e lasci i jeans sopra il letto, tanto per dormire te ne serve metà. Succede che fai la doccia, prendi le mutande per cambiarti e lasci il cassetto aperto. Ti asciughi i capelli, hai il phon appoggiato sul mobile e staccare la spina e rimetterlo via costa cooooosì taaaaanto sfooooorzo. E poi ceni e hai sporcato solo un piatto e una pentola e allora lasci lì, poi il giorno dopo fai colazione e cosa fai, sciacqui la tazza quando hai anche il piatto da lavare, e poi a cena succede che hai da fare e non hai voglia e lasci là e niente. Poi apri la posta e metti la busta sul tavolo e pensi “la butto dopo”. Un accumulo di insignificanti piccole cose, che fatte immediatamente richiederebbero 4 secondi l’una e che finiscono per sommarsi e trasformare la tua casa in un campo rom.

E alla fine ti guardi intorno e ti viene l’esaurimento nervoso e inizi a sistemare con metodo “onda tzunami” partendo da un angolo della stanza che vuol dire appendere la giacca all’attaccapanni e ripiegare il plaid del divano e finisci per fare due lavatrici e lavare i piatti e pulire anche le tazzine del Barcellona che ti ha lasciato la proprietaria e che hai infilato in fondo in fondo al mobile e che non vorresti vedere mai più e lavare i bagni e cambiare le lenzuola e anche il coprimaterasso. 
Il tutto in preda a un entusiasmo inconcepibile. 
Di solito dopo le 11 di sera.

Il bianco, il blu e il beige

Lunedì mi sono messa i jeans, la camicia bianca nuova. Sono andata a lavorare.
Martedì ho messo i pantaloni neri, una camicia bianca. Sono andata a lavorare.
Mercoledì ho messo i pantaloni blu, un'altra camicia bianca. Sono andata a lavorare.
Cardigan nero o blazer grigio o niente.
Sotto ballerine nere o color crema.

Penso a cos'ho comprato ultimamente: un paio di stringate nere, stivaletti neri, slip-on nere. Una borsa rigida in saffiano nera.
Cosa sto guardando nei negozi? Passo davanti a Gucci e resto imbambolata davanti alla Disco bag che prenderei in nero o beige. Certo quella di Marc Jacobs ci assomiglia e costa un quarto, beh, sempre troppo.
Non riesco a capire le scarpe. Mi sono stufata delle ballerine ma non vedo alternative; vorrei un altro paio di slip on, magari chiare come quelle che Vans ha fatto per Other stories, ma con il caldo si muore, i sandali mi stanno un po' antipatici, non so se è perché non mi piacciono i piedi o perché non ne ho mai trovati di comodi o che non facessero le vesciche. Mi piacciono le ballerine con la punta e i laccetti sul davanti ma non addosso a me.

Non guardo nemmeno vestiti, jeans, pantaloni. Non riesco a vedermi con nient'altro che con la mia divisa un po' da maschietto.
Sarà che sono noiosa e le cose che mi piacciono sono uguali a quelle che ho già, sarà la dieta che a singhiozzo che non mi fa voglia di comprare cose nuove.
Comprerei decine di pigiamini, quelli sì.


Valutazione annuale a lavoro: "Michela, metti di più il rossetto"

Quindi c'è stata la valutazione annuale a lavoro.
Chiunque sia capo di qualcuno deve compilare questa scheda in cui vengono valutate cose importanti come la cura degli strumenti di lavoro, l'atteggiamento con i colleghi, l'autonomia, le competenze di marketing. Nessuno sa perché nella valutazione generale siano inserite le competenze di marketing, in un'azienda come tutte composta da ufficio marketing sì, ma anche commerciale, R&S, acquisti, manutenzione, design, amministrazione.
La valutazione è da 1 a 5. Le mie competenze di marketing mi insegnano che in un questionario è meglio mettere un numero pari di risposte, altrimenti si rischia che tutti rispondano il valore medio. Con un numero di risposte pari invece anche chi vuole dare un voto medio è costretto a dare una preferenza verso il basso o l'alto. Vabbè, facciamo che a quelli delle risorse umane sul marketing mettiamo 1 e via.

Il mio capo mi convoca e mi mostra la mia scheda, mi dice che ho una media superiore ai voti degli altri (che lei non ha visto, ndr). Mi dice che sono cresciuta molto nell'ultimo anno, che lavoro bene, che mi lascia fare perché vede che sono autonoma, che sono molto brava a organizzare il mio lavoro e a coordinare quello dei miei colleghi. Mi dice che so capire le priorità tra i vari lavori e in caso di crisi so quando è importante rispettare le scadenze a costo di un lavoro frettoloso, e invece quando il lavoro frettoloso non va bene ed è meglio ritardare un po' ma fare bene.

Poi mi dice che sono una persona discreta, che non perdo tempo in chiacchiere, che non sono una che si fa vedere a tutti i costi. Mi aspetto che sia un complimento, mi aspetto che mi dica che va bene così, che la gente che fa tanto casino per niente alla fine resta fregata, mentre io se faccio il mio lavoro e sto tranquilla verrò ripagata nel tempo (e senza colleghi che sparlano di me durante la pausa pranzo).
Mi dice invece che solo le persone che sanno andare oltre l'apparenza si accorgeranno del mio lavoro, che la maggior parte delle persone guarda più a come ti vesti, a come cammini, a come ti mostri. Mi dice che il lavoro del tal collega viene riconosciuto perché bestemmia, perché quando ha una scadenza gira per l'ufficio sbraitando come se ci fosse solo lui (quello che noi chiamiamo general mamager o cel'hasololui). Mi dice che a tal collega vengono assegnati gli incarichi perché ha sempre la gonna e i tacchi.
Mi dice "brava che hai messo il rossetto oggi, mettilo sempre". Mi dice di mettere di più la gonna e i tacchi. Mi dice "saluta bene il capo delle risorse umane, sorridi, fai le battutine, dimostra che ti interessa".

E io che sto facendo tutto questo lavoro per credere di più in me stessa, lavoro che sì, comprende cose stupide come mettere un tacco di 7 cm o un rossetto rosso o la gonna. Io che vedo una collega con una gonna plissettata, penso che ce l'ho anch'io, che la prossima settimana potrei metterla con la gonna in jeans ora che fa caldo e posso non mettere le calze.
Poi penso che a quello che mi ha detto il mio capo, penso che mi guarderà e con sguardo complice dirà "brava Michela, continua così".
E mi passa la voglia.


PS: il mio capo è una donna.
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